Venezia, meta immancabile del turismo di massa, dal prossimo anno sarà accessibile solo attraverso pagamento e prenotazione, esattamente come accadrebbe in un parco divertimenti. Avanti veloce: dopo una strage che ha ridotto la città in macerie, come in un eterno ritorno, stormi di turisti accorrono a visitare l’iconica Venezia. L’apparente tranquillità che emerge dalle foto di una tradizionale gita turistica traballa in un’atmosfera contraddittoria e perturbante; quella che si credeva fosse Venezia non è che una sua riproduzione, un falso in miniatura all’interno di un parco divertimenti, luogo di alienazione e di negazione di una realtà in rovina. Una narrazione che sottende le paure e i pericoli percepiti nel presente, la necessità - pure contemporanea - di non farci caso, attraverso un’inconsapevolezza talvolta volontaria. Combattuti nella ricerca frenetica e illusoria di un’agognata normalità ci ritroviamo ad accettare passivamente una realtà incerta e spaventosa.
Le paure che sentivamo guardando a un lontanissimo futuro appaiono sempre più vicine, tutto ciò che si può fare per prevenirle risulta economicamente poco rimunerativo per chi dovrebbe prendersene la responsabilità, e anche la sola presa di coscienza talvolta è troppo scomoda e difficile da sopportare. L’incertezza di un futuro sempre più precario porta con sé ansia, rabbia e disillusione. Al fine di sopportare l’insopportabile creiamo dei meccanismi di rimozione o di normalizzazione di alcuni eventi. Attraverso il falso produciamo un’esperienza di simulazione della realtà, omettendone la tragicità. Ma cosa accadrebbe se ciò che ora possiamo solo lontanamente ipotizzare divenisse realtà? Se varcando la soglia di casa, Venezia fosse ridotta in macerie? Quali paure potremmo ancora provare? E quali emozioni? Gli eventi che accadono attorno a noi sono legati a doppio filo alla nostra interiorità: non è solo un’apocalisse che si abbatte su di noi, è un’apocalisse che si fa strada dentro di noi.



















