Siamo tutti un po’ Narciso, archetipo generazionale, figura comune ai giovani in bilico, funamboli, tesi tra la spasmodica ricerca di aderenza al sociale, a imposizioni, limitazioni e a un inconsapevole naufragio dell’io, essenza frammentata in un desiderio di appartenenza. Digitalità e algoritmi, società e cambiamento: eterna finzione del Narciso, che altro non vuole se non essere performante, alienato dal suo chimerico riflesso. Nell’antitesi l’analogia, nella contrapposizione l’appartenenza. Lo specchiarsi come mezzo d’appiglio, che sia in una interfaccia digitale o nel riflesso analogico, con “pixel” o gocce d’acqua, svela la natura comune ai Narcisi: al genere umano. La silente accusa all’immagine restituita dallo specchio. Un insidioso gioco di riflessi, dentro cui appaiono una società nemica e un’interiorità estranea, colpevoli di un mancato riconoscimento dell’essenza dell’io. Sono questi i reali responsabili di quel sentimento, freddo, tacito, perpetuo, oppure Narciso non riconosce a se stesso la colpa? Avatar, volto, persona, la colpa è sempre altrui, è sempre nostra, riflessi estranei di un’immagine che non si riconosce più.
Narciso Interiore
Narciso labile, leggero, prodotto fragile della perpetua e vana ricerca dell’io. Si perde. Non si ritrova. Incessante e irrequieto il suo essere pre- sente nello spazio come l’impulso stesso della sua ricerca, che lo spinge a interrogarsi sull’esistenza e sul suo posto nel mondo.
Narciso Esteriore
Narciso non può che interfacciarsi al pragmatismo di un sociale intransigente, diventando così vittima dell’incombere delle sue sovrastrutture. Sopraffatto da ruoli di genere, prospettive future e dalle richieste di nitidezza avanzate da un vivere comune: dalle aspettative dell’età adulta. Allora Narciso si fa piccolo, scompare sotto gli strati di tessuto, e con lui tutti gli altri giovani piegati sotto il peso della società.









