La prima volta che ho fatto sexting su Grindr avevo 18 anni. Ero a Milano senza i miei genitori per una settimana e l’ultima notte, da solo nella mia camera d’hotel, ho scaricato l’app. Nel mio profilo non compariva nessuna foto, solo l’età. Mi sorprese che pur senza mostrare o dire nulla di me in poco tempo cominciarono a scrivermi. Uno dei primi era un uomo, anche lui un profilo vuoto in cui “40 anni” era l’unica informazione.
“Cosa cerchi?”
Si comincia quasi sempre così, eppure è una domanda a cui ancora fatico a rispondere. All’epoca probabilmente mi era più difficile capire il motivo per cui alle due di notte fossi su Grindr. Di solito dico che sono lì per noia, che forse è una bugia, forse no. Qualunque sia la risposta di solito il passo successivo è parlare di cose più pratiche; a chi sta su Grindr non piacciono i perditempo. Con quell’uomo feci per la prima volta un gioco strano: mentre lui mi scriveva ciò che faceva, cosa toccava, cosa sentiva io costruivo nella mia testa una sua versione immaginaria.
Era muscoloso, non troppo alto, aveva odore di uomo. Sicuramente mi avrebbe toccato con fare deciso, mi avrebbe stretto con forza. Non avrebbe parlato troppo, se non per darmi indicazioni su come muovermi. Lo immaginavo nella sua casa, che sarebbe stata piccola, decentemente pulita e decentemente ordinata. Una casa senza troppa personalità, la casa di un uomo che probabilmente segue il calcio e va a bere la birra con gli amici, uno di quelli che “non diresti mai che gli piacciono i maschi”. Mentre rispondevo ai suoi messaggi creavo una versione di me altrettanto immaginaria, più o meno consapevole che se quell’uomo fosse stato nella camera con me non avrei mai fatto nulla di ciò che scrivevo. Non era un ragazzo a caso quello che creavo per me, era il ragazzo che nella mia testa era perfettamente complementare all’uomo che immaginavo. Dai miei messaggi traspariva un ragazzo sessualmente disinibito ma anche innocente. Mi sarei mostrato totalmente passivo ai suoi comandi e al suo corpo, a cui mi sarei piegato perché più docile, più femmineo. Usavo parole non mie, forse adottate da uno di quei porno che guardavo in cui un uomo mascolino forte e sicuro fa sesso con ragazzi più giovani, glabri e sottomessi. Più si andava avanti con messaggi tanto espliciti quanto impersonali, più la sua figura fittizia e la mia si definivano nella mia testa.
“Ora vieni qui.”
E subito dopo l’indirizzo di casa sua. Come avevo fatto a ottenere l’indirizzo della casa di un uomo che non mi aveva mai visto in faccia? Ora non mi sembra qualcosa di strano o improbabile, ma il me diciottenne ne rimase sorpreso. Forse il ragazzo che avevo costruito artificialmente funzionava, e funzionava perché piaceva all’uomo che avevo costruito in maniera altrettanto artificiale. La posizione era a cinque minuti dal mio hotel. Mi sentivo potente per ciò che avevo ottenuto ma sapevo che non sarei stato in grado di essere quel ragazzo.
"Mi vesto e vengo.”
Eliminai l’app e non mi presentai a casa sua. Tornato a casa dopo un po’ di tempo parlai su Grindr con un altro uomo. La dinamica era pressoché identica a quella che si era creata col tipo di Milano. Lui però nella mia testa era diverso, più avanti nell’età, con i capelli brizzolati, meno tonico e più magro. Mi mandò qualche sua foto rovinando il mio gioco e allora mi trovai costretto a concentrarmi sulla sua personalità. Era anche lui uno molto deciso e sicuro di sé, sicuramente avrebbe guidato lui. Era però meno rude, meno rozzo. Più si parlava e più si delineava l’immagine di uno che ama fare l’intellettuale, che dà la sua opinione su tutto, che ascolta solo buona musica e rigorosamente su vinile, nel suo appartamento curato e pulito, pieno di oggetti recuperati in giro per il mondo, ognuno con una sua storia. Anche lui uno di quelli che “è gay ma non lo diresti mai”, uno di quelli a cui piace flirtare con le donne e a cui non piacciono i ragazzi che si truccano e usano la borsetta. La sua versione reale, quella che chattava con me su Grindr, mi disse chiaramente che gli piacevano i ragazzi giovani e inesperti.
Allora il Lorenzo che costruii per lui era simile a quello di Milano ma più attento a essere meno femminile possibile. Gli parlavo quindi dei tratti del mio corpo che trasudavano quella virilità adolescenziale di cui avevo letto nei libri di Pasolini e di Cocteau. I muscoli che si iniziano a vedere ma non sono troppo definiti, la peluria che diventa più scura ma non è ancora barba, le pulsioni ancora difficilmente controllabili e anche l’inesperienza, l’essere ancora vergine. Il suo essere snob mi portava a mostrarmi a lui come un ragazzo acuto, maturo, capace di parlare con un uomo più grande e consapevole di come si vive e cosa succede nel mondo - e io ho sempre difficoltà a capire cosa succede nel mondo. Ancora una volta senza espormi per quello che effettivamente sono, ero stato capace di catturare l’interesse di uno sconosciuto che continuava a scrivermi e a chiedermi di vedermi ogni volta che mi trovava online. A qualche mese di distanza ero a teatro e lo rividi accompagnato da un ragazzino che incarnava perfettamente il Lorenzo fittizio che avevo creato per lui. Mi dissi che ero stato bravo quella volta.
Ogni volta, dopo un po’ il gioco mi annoiava e disinstallavo e installavo continuamente. Mi piaceva usare Grindr quando mi ritrovavo da solo ad aspettare in aeroporto. Iniziavo a parlare con qualcuno, ci si dava appuntamento in bagno e poi non mi presentavo. Mi divertiva il rischio che in qualche modo uno di loro potesse riconoscermi e per passare il tempo provavo a individuare l’uomo con cui stavo parlando, basandomi sull’idea che mi ero fatto di lui. Chissà dove vivevano, chissà dove stavano andando, chissà cosa c’era dentro la loro valigia, chissà come era la loro vita. Quando ho deciso di scrivere questo pezzo per capire perché plasmo la mia persona sui desideri degli altri, ho riscaricato Grindr dopo diversi mesi di pausa. Nel profilo c’è ancora una mia foto caricata l'ultima volta in cui usai l’app. Avevo finalmente deciso di caricarne una perché dopo un periodo di bassa autostima mi rivedevo bello e volevo che qualcuno me lo dicesse. Rivederla a distanza di tempo mi fa un effetto strano. È una foto allo specchio fatta nella camera in cui non dormo più, nella casa in cui non vivo più. Indosso solo delle mutande bianche Calvin Klein che non ho più.
Le avevo comprate quando avevo 16 anni e volevo anche io essere quel tipo di ragazzo dai cui jeans sborda l’elastico iconico che rimanda a quell'immaginario erotico. L’anno scorso le ho buttate perché non le sentivo più mie. Anche il mio corpo mi sembra cambiato rispetto a come era quando ho scattato quella foto, ora è più morbido, meno muscoloso ma per qualche motivo più maschile. In viso ho un’espressione che riservo esclusivamente alle pose. È la mia faccia, è il mio corpo eppure il ragazzo di quella foto mi sembra finto. Voglio vedere se faccio ancora quel gioco e allora aspetto che qualcuno mi scriva per vedere cosa succede. Rispondo al saluto di un uomo di mezza età che in maniera insolita, almeno per me, si presenta. Si chiama David, vive tra Boston e New York ed è qui per lavoro. In maniera altrettanto insolita inizia anche a interessarsi a me. Mi chiede il mio nome e cosa faccio, io evito di rispondere alla prima domanda e gli dico che mi sono trasferito qui per studiare. Lui insiste chiedendomi il nome e allora visto che tanto nemmeno nella foto sono io gli dico che mi chiamo Matteo. Ho poco da immaginare perché David condivide spontaneamente informazioni sul suo conto e qualche foto. Allora decido di provare a vedere se anche lui fa il gioco che faccio io. Gli dico che sto facendo una ricerca sulle aspettative che si creano nel sexting e su Grindr e gli chiedo che idea si è fatto di me dalla mia foto e dai pochi messaggi che gli ho scritto. Mi immagina un ragazzo responsabile e appassionato, perché non è da tutti trasferirsi in un’altra città per studiare, uno con la testa sulle spalle insomma. Dice che dalla foto non riesce a capire tanto, però sul mio viso legge un’espressione che gli piace.
“I would say you’re a bottom, but I may be wrong.”
“Why do you think that?”
Dice che non lo sa di preciso ma che è il mio corpo che glielo suggerisce. Forse è perché sono magro, forse è la posizione in cui sono messo, forse è che ho pochi peli e sono giovane o forse è lo sguardo. Mi dice che dopotutto lui è attivo quindi tendenzialmente è attratto dai ragazzi che sembrano passivi. Nessuno in realtà ha mai pensato che io sia attivo. Non saprei spiegare il perché ma neanche io ho mai pensato di sembrarlo. Mentre continuo a fargli domande, lentamente riprendo a giocare. Me ne accorgo nel momento in cui comincio a immaginarlo nella sua stanza d’hotel con le luci soffuse, anche lui sdraiato nel suo letto ancora perfettamente ordinato, con addosso i vestiti che ha messo per andare a cena con i suoi colleghi, i primi bottoni della camicia slacciati e il nodo della cravatta allentato. Me lo immagino un po’ nerd, destramente preso dal suo lavoro che lo porta a viaggiare in tutto il mondo. È uno che ama le cose lussuose, uno che a Venezia fa il giro in gondola e che indossa sempre capi di altissima qualità. Nessun logo a vista e mai il blu con il nero. Mi rendo conto che per quanto io non sia più il diciottenne di Milano questo gioco mi solletica ancora. Nel frattempo ho avuto una relazione in cui questi ruoli sono emersi senza che io me ne accorgessi e hanno lentamente intrappolato sia me che la persona con cui stavo. Da allora cerco di limitarmi il meno possibile, e per farlo provo a non definire rigidamente né me né gli altri. Provo a prendere le persone per come sono senza costruirci nulla attorno. Non sempre ci riesco.
“Are you actually a bottom tho?”
“I guess I am when I’m on Grindr”
Una volta che ho ottenuto le risposte da David non voglio più parlare con lui o stare su quell’app.
“So do I get any of your time now that the interview is over?”
Gli dico che non credo succederà. Mi chiedo perché non posso semplicemente essere me stesso e aspettare che qualcuno mi apprezzi per quel che sono. Perché mi spaventa essere Lorenzo senza pensare di essere necessariamente un twink, senza la barba, magro, docile. Mi è difficile capire chi sono se mi spoglio delle sovrastrutture che negli anni ho adottato e fatto mie. Ho anche parlato con diversi amici. Ciascuno di noi ha avuto esperienze diverse. Alcuni hanno usato e usano Grindr, altri non l’hanno mai scaricato. Nessuno di loro fa il gioco che faccio io, ma in alcuni casi una dinamica simile è emersa in forme diverse. Con qualcuno condivido la paura e lo smarrimento di quando durante l’adolescenza il corpo cambia e fai fatica a capire chi stai diventando. I peli che iniziano a crescere e sembrano non c’entrare proprio nulla con chi sei e la sensazione che il sesso sia qualcosa di sporco. Per alcuni l’aspetto del nostro corpo suggerisce il tipo di persona che siamo e il tipo di persona di cui abbiamo bisogno al nostro fianco. C’è qualcuno che si definisce versatile e qualcuno che dice che si può supporre il ruolo di un ragazzo basandosi sulle vibes che quel ragazzo emana.
Una cosa che forse accomuna davvero tutti gli amici con cui mi sono confrontato è che c’è stato un momento nel quale ci siamo ritrovati soli, senza riferimenti per capire chi fossimo o di cosa avessimo bisogno. Ognuno si è un po’ arrangiato come meglio poteva, cercando modelli nelle prime relazioni, su Grindr, nei film e così via, spesso senza farci troppe domande. Forse alcune cose sono così e basta e non c’è un modo per capire cosa c’è dietro. Un amico però mi ha suggerito che tutti i ruoli che assumo potrebbero essere nuovi tentativi nella ricerca di me stesso e allora ho pensato che tra un po’, dopo averli provati e messi in discussione tutti sarò in grado di fare un bilancio e capire chi sono, davvero.











